Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.
I reati omissivi impropri rispondono evidentemente a un principio solidaristico alla luce dell’art. 2 Cost.
Definiti anche come commissivi mediante omissione, i reati omissivi impropri non sono espressamente tipicizzati da una norma penale; tuttavia, sono ricavabili dal combinato disposto della clausola generale di equivalenza di cui all'art. 40 cpv. c.p. e la norma incriminatrice di parte speciale originariamente strutturata secondo il modello del reato di azione, di volta in volta applicabile.
Il legislatore ha inteso ricollegare la causazione di un evento dannoso e lesivo di un bene giuridico tutelato alla condotta omissiva, a condizione che sussista in capo al soggetto un obbligo giuridico di impedire l’evento in concreto realizzatosi.
In tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante mediante un comportamento concludente dell'agente, consistente nella presa in carico del bene protetto.
Si configura una posizione di garanzia a condizione che: a) un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; b) una fonte giuridica – anche negoziale – abbia la finalità di tutelarlo; c) tale obbligo gravi su una o più persone specificatamente individuate; d) queste ultime siano dotate di poteri atti a impedire la lesione del bene garantito.
In materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro – tema rispetto al quale la traccia richiede uno specifico approfondimento – la posizione di garanzia può essere generata non solo dall’investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di reato purchè l’agente assuma la gestione della specifica “area di rischio”, mediante un comportamento concludente, consistente nella presa in carico del bene protetto.
Occorre precisare che il tema dell’assunzione della posizione di garanzia è tema contiguo a quello della delega di funzioni, ma è concetto assai diverso.
Una cosa è l’assunzione della posizione di garanzia, altra è la delega di funzioni, nonostante entrambi comportino l’assunzione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento.
Gli istituti richiamati trovano la loro collocazione in ambiti distinti.
Quanto al primo, l’assunzione della posizione di garanzia trova la sua disciplina nell’art. 299 TU 81/08, a mente del quale “Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”. Tale disposizione deve essere letta unitamente al primo comma dell’art. 2639, c.c., che definisce l’amministratore di fatto: “Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.
L’assunzione di fatto della funzione datoriale è tema investigativo assai approfondito nella fase delle indagini preliminari. Anche di recente, proprio per tamponare l’ingravescente fenomeno degli infortuni sul lavoro, si assiste ad una esplorazione del contesto aziendale al fine di individuare proprio quelle figure sprovviste di investitura formare ma che, per l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici del datore di lavoro, finiscono per assumere il ruolo di gestore dell’area di rischio.
Perché tale assunzione sia effettiva, non è necessario che il titolare sia direttamente dotato dei poteri atti a impedire la lesione del bene garantito, essendo sufficiente che egli disponga dei mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari a impedire l’evento dannoso.
Salvo deleghe, di cui a breve si dirà, l’obbligo di garanzia (di prevenire gli infortuni) spetta al datore di lavoro. Questi è formalmente individuato come tale nell’organigramma aziendale o nel documento valutazione rischi; potrà essere desunto implicitamente dal contratto di assunzione del lavoratore dipendente; dall’atto di nomina del medico e del RSPP; dal verbale di consegna dei dispositivi di protezione; dai verbali attestanti l’assolvimento degli obblighi informativi e formativi. Nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia.
Al di sotto del datore di lavoro, sussistono la figura del dirigente e del preposto.
Il dirigente rappresenta il livello di responsabilità intermedio: è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli. Il dirigente, dunque, ai sensi della normativa richiamata, nell’ambito del suo elevato ruolo nell'organizzazione delle attività, è tenuto a cooperare con il datore di lavoro nell’assicurare l’osservanza della disciplina legale nel suo complesso; e, quindi, nell'attuazione degli adempimenti che l'ordinamento demanda al datore di lavoro. Tale ruolo, naturalmente, è conformato ai poteri gestionali di cui dispone concretamente. Ciò che rileva, quindi, non è solo e non tanto la qualifica astratta, ma anche e soprattutto la funzione assegnata e svolta.
Infine, il preposto è colui che sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l'esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico.
Per ambedue le ultime figure occorre tener conto da un lato dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono base e limite della responsabilità; e dall’altro del ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono.
Come si diceva, la gestione dell’area di rischio può essere delegata.
In effetti, come sentenziato dalle Sezioni Unite Espenhahn l’investitura del garante può essere non solo originaria ma derivata.
Anche qui recependo gli orientamenti della prassi, l’art. 16 del T.U. ha chiarito che la delega deve essere specifica, deve conferire poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa ben definiti, ad un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza.
La delega, nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo. Questi, per così dire, si libera di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. La delega, quindi, determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità. Residua, in ogni caso, tra l’altro, come l’art. 16 del T.U. ha chiarito, un obbligo di vigilanza “alta”, che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato. Ma ciò che qui maggiormente rileva è che non vi è effetto liberatorio senza attribuzione reale di poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa pertinenti all'ambito delegato. In breve, la delega ha senso se il delegante (perchè non sa, perchè non può, perchè non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui attribuisce effettivamente i pertinenti poteri.
La delega trova facilmente applicazione nelle strutture complesse.
Si tratta di organigrammi aziendali che solitamente hanno più sedi e un numero elevato di lavoratori.
E’ impensabile che il presidente del Cda della sede internazionale possa essere chiamato a rispondere di un infortunio accaduto in una sede remota, che è conseguenza di un errata procedura lavorativa.
E’ evidente, piuttosto, con particolare riguardo a questo tema, che l’istituto della delega si pone necessariamente in continuità con quello dell’assunzione dell’area di rischio, finendo per completarlo e dotarlo di efficacia preventiva.
In ogni caso, deve essere chiaro che non esiste nessuna delega che possa esonerare a priori il datore di lavoro da ogni responsabilità, residuando, in ogni caso, ambiti di livello superiore di gestione di rischio, non delegabili.
Basti pensare all’obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi.
Un infortunio che fosse conseguenza di una omessa/errata valutazione del rischio, oppure un infortunio che fosse rivelatore di evidenti deficit strutturali/organizzativi dell’azienda, difficilmente potrà ascriversi al solo delegato (la cui gestione del rischio è limitata ai reati che sono comunque frutto di “deficienze occasionali” e non “strutturali”).
In effetti, a mente del comma 3-bis, dell’art. 16, D. Lgs. 81/08, “La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite”.
Tuttavia, l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4.
Tale argomento non è di poco conto e sostanzia una sorta di presunzione di assolvimento dell’obbligo di vigilanza per il datore di lavoro che ha adottato il modello organizzativo alla stregua del testo legislativo in materia di responsabilità amministrativa degli enti.