H.U. è indagato del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 8 D. Lgs. n. 74/2000 perché avrebbe, in più occasioni, nelle sua qualità di Presidente del CDA di S., emesso fatture soggettivamente inesistenti al fine di consentire alla I. S.p.a. di evadere l’Imposta sul Valore Aggiunto relativamente agli anni di imposta 2018 e 2019.
La suddetta incolpazione troverebbe fondamento nelle risultanze investigative ed, in particolare, nella C.N.R., all’esito delle quali è emerso che l’indagato avrebbe emesso fatture riferite ad operazioni soggettivamente inesistenti in favore della società I. S.p.a. per i seguenti importi:
- periodo di imposta 2018: imponibile € 913.205,86 – IVA € 200.944,91;
- periodo di imposta 2019: imponibile € 960.985,86 – IVA € 198.350,70.
Pertanto, il Gip disponeva “il sequestro finalizzato alla confisca diretta dell’ammontare corrispondente al valore dell’imposta evasa, da considerarsi profitto o comunque prezzo del delitto di cui all'art. 2 D.L. 74/00 pari ad € 399.295,11 nella disponibilità della S. [...] ovvero in caso di impossibilità ed in via subordinata, il sequestro [...] di beni mobili e immobili di valore equivalente all’ammontare dell’imposta evasa per come sopra dedotto, [...] nella disponibilità, anche per nterposta persona, di ciascuno dei seguenti soggetti emittenti le false fatture".
Tanto premesso, è legittimo il sequestro del profitto di reato dell'utilizzatore eseguito anche ai danni dell'emmittente le false fatture?
Ad avviso della difesa dell'amministratore di S., il sequestro era illegittimo!
Era evidente come il Gip fosse incorso nell’errore di aver confuso e sovrapposto, facendoli coincidere, il profitto del reato presupposto di cui all’art. 8 D.L. 74/00 (“Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”) con il reato di cui all’art. 2 stesso decreto (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”).
La cautela imposta sui beni dell’indagato è illegittima in quanto l’art. 9 del T.U. preclude l’estensione del sequestro del profitto di reato conseguito dagli utilizzatori agli emittenti le false fatture.
A bene vedere, infatti, i delitti in oggetto palesano un prodotto, profitto o prezzo del reato del tutto autonomi ed indipendenti: il prezzo del reato di emissione di fatture inesistenti, infatti, consiste nel compenso pattuito o riscosso per eseguire il suddetto delitto; dall’utilizzo delle fatture medesime (portate in detrazione come se fossero operazioni reali ed effettive), invece, ne consegue esclusivamente un indebito risparmio di imposta.
Da ciò ne consegue che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente non possa essere disposto sui beni dell’emittente false fatture per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle medesime (!).
Ciò in quanto, in primo luogo, l’art. 9 D.Lgs. 74/2000, prevede che “in deroga all’art. 110 c.p.:
- l’emittente di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre co il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 2;
- chi si avvale di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art.8”.
Non potendosi configurare il concorso, il profitto-risparmio di imposta dell’utilizzatore deve tenersi ben distinto da quello dell’emittente le fatture, nei cui confronti il sequestro può essere disposto solo ed esclusivamente per il prezzo-compenso da lui conseguito.
Del resto, che il profitto confiscabile per l’autore del reato ex art. 8 D. Lgs. 74/2000, non possa consistere nel risparmio d'imposta deriva dal fatto che non solo non si è in presenza di un fatto di evasione, ma anche perché il delitto potrebbe non realizzarsi del tutto, quando, ad esempio, il contribuente che riceve i documenti fittizi non li porta in detrazione.
Allo stesso modo, la giurisprudenza di legittimità è stabilmente orientata nel senso di escludere l’applicazione del principio solidaristico tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi si avvale delle stesse, ritenendolo configurabile nei soli casi di illecito plurisoggettivo.
Pertanto, il sequestro preventivo, astrattamente consentito nell’ipotesi di cui all’art. 8 D.Lgs. 74/2000 dal suddetto art. 143, L. 244/2007, deve essere relativo al solo profitto-prezzo economicamente valutabile e conseguito immediatamente o indirettamente dall’emissione delle fatture per operazioni inesistenti.
Alla stregua di quanto appena detto, è pacifico che il sequestro per equivalente possa essere disposto nei confronti dell’emittente fatture per operazioni inesistenti nei limiti del profitto illecitamente conseguito dallo stesso.
Allo stesso modo, è certo che tale profitto non coincida con l’evasione di imposta conseguita dall’utilizzatore delle fatture relative alle operazioni inesistenti.
Ebbene, nel caso di specie il Gip aveva erroneamente disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni del patrimonio dell’indagato per un valore equivalente ad € 399.295,11 senza indicare in alcun modo, però, quale fosse stato il profitto conseguito dal Liu Liangjian in relazione alla commissione del reato di cui all’art 8, dl 74/00l.
Il Gip sembra non aver tenuto conto del fatto che tale somma costituiva esclusivamente il profitto dell’utilizzatore ma non dell’emittente della falsa fattura (!).
Il Tribunale del Riesame, in accoglimento della tesi difensiva, ha disposto l'annullamento del sequestro in quanto: il profitto individuato dal provvedimento di sequestro era quello conseguito dall’utilizzatore; nel decreto era del tutto omessa una valutazione specifica del profitto/prezzo del reato conseguito dall’emittente; nel caso di specie non era configurabile il vincolo solidaristico tra il reato di cui all’art. 2 e 8 D.Lgs. 74/2000.