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  • 07-02-2024
"IL COMPORTAMENTO ANOMALO DEL LAVORATORE NELL’AMBITO DELLE LESIONI PERSONALI COLPOSE" di Emma Volpe

Il reato di lesioni personali colpose viene integrato nel momento in cui, un qualsiasi soggetto tenga un comportamento tale da cagionare ad altri, per colpa – dunque contro la propria intenzione – una lesione personale.

Pertanto, la norma mira a punire chi, in virtù di un comportamento negligente, imprudente, inesperto ovvero contrario a disposizioni di legge, regolamenti, ordini o discipline, in modo involontario, provochi una malattia nel corpo o nella mente nei confronti di un individuo.

Nello specifico, secondo quanto disposto dal III comma dell’art. 590 c.p., costituisce un’aggravante di tale condotta, il medesimo comportamento posto però in essere da un datore di lavoro, il quale, in ossequio alla sua posizione, risulta essere tenuto al rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

La stessa Costituzione impone al datore di lavoro l’adozione di misure di prevenzione e di sicurezza di natura tecnica, organizzativa e procedurale in generale, al fine di assicurare un ambiente lavorativo protetto e salubre per i lavoratori.

Nel 2008, in Italia è stato emanato il Testo Unico della sicurezza sul lavoro (D. Lgs. 81/2008) il quale ha avuto il merito di accorpare tutte le normative emanate nel corso degli anni in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Attraverso l’identificazione accurata dei fattori e delle fonti di rischio, della valutazione e della mitigazione dei pericoli, tramite il costante monitoraggio delle misure preventive adottate e la formulazione di strategie aziendali, il Testo Unico in questione predispone un sistema proattivo e duraturo per la gestione della sicurezza e della salute sul lavoro.

Pertanto, conseguenza logica di simili postulati è la reità del datore di lavoro in tutti quei casi in cui quest’ultimo abbia tenuto un comportamento negligente. 

Ma, al netto di una condotta del datore di lavoro assolutamente non rimproverabile, cosa succede se invece è lo stesso dipendente ad aver compiuto azioni anomale?

Secondo l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione, solo nei casi in cui il lavoratore abbia tenuto un comportamento abnorme, il datore di lavoro (benché destinatario delle norme antinfortunistiche) risulta essere esonerato da ogni responsabilità.

Con “abnorme” ci si riferisce ad un contegno imprudente, eccezionale del dipendente, posto in essere in modo del tutto autonomo e in un ambito estraneo alle proprie mansioni ovvero – sebbene rientrante nelle mansioni affidategli – un comportamento consistito in un qualcosa di radicalmente lontano da quelli eventualmente prevedibili dal datore di lavoro stesso.

Inoltre, dall’art. 41 del Codice Penale (concernente il concorso di cause) si può evincere come la causa penalmente rilevante risulti essere la condotta umana, sia essa un’azione o un’omissione, che si ponga come condicio sine qua non – come condizione necessaria – nella catena degli antecedenti che hanno concorso alla produzione del risultato, senza la quale l’evento da cui dipende la stessa esistenza del reato non si sarebbe altrimenti verificato.

Ciò che esige la casualità è un esame controfattuale, ovvero: il comportamento umano è considerato come una condizione necessaria dell’evento solo, e solo se, nel momento in cui viene idealmente eliminato dal novero dei fatti realmente avvenuti, l’evento non si sarebbe manifestato; mentre, il comportamento non è condizione necessaria nel caso in cui – stante sempre l’eliminazione del comportamento dal novero dei fatti – l’evento avrebbe comunque avuto luogo.

Per quanto concerne il comma II del medesimo articolo, è rilevante evidenziare come questo preveda che le cause sopravvenute possono essere capaci di escludere il rapporto stesso di casualità nel momento in cui tali cause, da sole, risultino essere sufficienti a realizzare l’evento.

Le cause in questione possono essere sia quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente, ma anche quelle che realizzano una linea di sviluppo completamente autonoma ed imprevedibile della condotta precedente.

Dunque, per quanto concerne la delimitazione dei confini entro i quali il comportamento imprudente del lavoratore sia capace di interrompere il rapporto casuale tra l’eventuale condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento colposo stesso di cui è vittima il lavoratore, è necessario che la condotta dello stesso debba risultare in un contegno anomalo (abnorme, appunto), in un’operazione diversa da quella rientrante nelle fasi delle lavorazioni a lui affidategli, oppure in un comportamento inosservante delle varie normative antinfortunistiche.