L'espandersi del fenomeno pandemico impone alle imprese importatrici doveri di controllo ulteriori sugli acquisti extra-comunitari prima della diffusione in commercio. Una preordinata noncuranza degli obblighi di controllo potrebbe avere come conseguenza l'addebito in concorso di fattispecie criminose, quali la "Frode nell'esercizio del commercio" e la "Vendita di prodotti industriali con segni mendaci".
Il tema è di particolare rilievo se si guarda alla importazione dei dispositivi di protezione (dpi).
In un caso esaminato, la Procura di La Spezia aveva convalidato il sequestro preventivo di un ingente quantitativo di guanti in vinile monouso proveniente dalla Cina, ravvisando le fattispecie di reato di cui agli artt. 515 (Frode nell’esercizio del commercio), 517 (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci), 48 e 479 (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici per induzione) c.p. e 292, 295 co. 2 lett. c) T.U.L.D. (cd. Contrabbando doganale) e 1, 67 e 70 D.P.R. n. 633/1972 (cd. Evasione di IVA all’importazione). La misura si giustificava per l'inosservanza dei prodotti al Regolamento UE 2016/425, che dettava prescrizione in ordine ai dpi. Come indebita risultava essere la marcatura CE, con una serie di conseguenze negative in materia di indebita detrazione dell'imposta comunitaria.
L'importatore, nondimeno, ha proposto ricorso al Tribunale della Libertà, ottenendo l'annullamento del sequestro.
Con un primo motivo di ricoorso, si denunciava che i dispositivi medici erano conformi alla normativa comunitaria.
Con la direttiva 89/686/CEE del Consiglio ed il successivo Regolamento UE 2016/425, si è inteso disciplinare i DPI nuovi sul mercato dell'Unione al momento della immissione sul mercato – ossia i DPI nuovi di un fabbricante stabilito nell'Unione – oppure i DPI, nuovi o usati, importati da un paese terzo. Si è previsto, in particolare, un obbligo per tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di fornitura e distribuzione dei DPI di adottare misure atte a garantire che siano messi a disposizione soltanto prodotti conformi al regolamento, stabilendo una ripartizione chiara e proporzionata degli obblighi a carico di ciascuno di essi.
Se da un lato, il fabbricante – avente sede nel territorio europeo – essendo colui che conosce dettagliatamente il processo di progettazione e di produzione, è nella posizione migliore per eseguire la procedura di valutazione della conformità e redigere la relativa dichiarazione, l’importatore di prodotti provenienti da un paese terzo all’Unione deve assicurare che, prima della immissione sul mercato dei DPI, siano state svolte tutte le procedure di valutazione della conformità e che la marcatura CE e la documentazione tecnica redatta dai fabbricanti siano a disposizione delle autorità competenti a fini di controllo.
La Dichiarazione di Conformità CE, prevista dall’art. 15 del Regolamento UE 2016/425, è obbligatoria ai fini dell’immissione sul mercato europeo dei DPI. La stessa è redatta dal fabbricante/produttore – ovvero da un suo rappresentante autorizzato nel territorio UE qualora il primo sia extraeuropeo – dopo che il prodotto è stato sottoposto alla cd. Procedura di Valutazione di Conformità e, con riferimento ai DPI di III Categoria, ha ottenuto la Certificazione di Conformità da parte di un Organismo Notificato; la stessa attesta che il DPI rispetta i requisiti essenziali di salute e sicurezza di cui al regolamento citato.
Con il Regolamento UE 2016/425, è stata prevista a carico dell’importatore di DPI fabbricati al di fuori del territorio UE una serie di obblighi che ne sanciscono la responsabilità in ordine alla conformità alla normativa vigente dei prodotti dallo stesso immessi sul mercato dell’Unione.
Più specificamente, l’art. 10 inserisce fra gli obblighi dell’importatore quelli di:
- accertarsi che il fabbricante abbia eseguito la procedura di valutazione della conformità appropriata nonché che abbia redatto la documentazione tecnica, che il DPI rechi la marchiatura CE e sia accompagnato dai documenti richiesti (§ 2);
- indicare sul DPI o sull’imballaggio o sul documento di accompagnamento il suo nome, la denominazione commerciale registrata od il marchio registrato e l’indirizzo postale cui essere contattati (§ 3);
- garantire che, per il periodo in cui il DPI è sotto la sua responsabilità, le condizioni di deposito e trasporto non ne compromettano la conformità ai requisiti di salute e sicurezza (§ 5);
- mantenere una copia della dichiarazione di confomità UE a disposizione delle autorità di vigilanza del mercato per un periodo di dieci anni dalla data di immissione sul mercato del DPI e garantire che la documentazione stessa possa essere resa disponibile a tali autorità su loro richiesta (§ 8);
- in generale, cooperare con l’autorità nazionale competente, su richiesta della medesima, a qualsiasi azione finalizzata ad eliminare i rischi presentati dai DPI che ha immesso sul mercato (§ 9).
In sintesi, quando il produttore/fabbricante ha sede in un paese extraeuropeo, è l’importatore ad assumere la responsabilità della conformità dei DPI dallo stesso importati ai requisiti di cui al regolamento in questione.
Ciò premesso, con il DL 19.05.2020 n. 34 (“Decreto Rilancio”), è stato previsto che, ai fini del contenimento della emergenza epidemiologica da Covid-19, le cessioni dei beni di cui alla tabella A, parte II-bis, allegata al D.P.R. 26.10.1972 n. 633, n. 1-ter1, così come aggiunto dall’art. 124 del predetto decreto (fra cui compaiono le mascherine FFP2 e FFP3, guanti in lattice, vinile e nitrile, visiere ed occhiali protettivi, tute di protezione, calzari e soprascarpe, cuffie, ecc), quali cessioni aventi ad oggetto DPI, effettuate entro il 31.12.2020, sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto, con diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi dell’art. 19 del citato D.P.R.
A chiarimento e specificazione di quanto sopra, con riguardo al profilo di interesse doganale, con informativa del 22.05.2020 prot. 152373/RU, l’Agenzia delle Dogane e Monopoli ha precisato che, in applicazione dell’art. 124, co. 2, DL 34/2020 e dell’art. 68, co. 1 lett. c), D.P.R. n. 633/1972, sino al 31.12.2020, le importazioni dei suddetti beni sono esenti dall’IVA, con diritto di detrazione in dichiarazione ove fosse già stata assolta.
Con un secondo motivo di ricorso, si è eccepita l'insussistenza della fattispecie di reato. Iprodotti importati erano da considerarsi DPI che rispettavano tutti i requisiti per la progettazione e fabbricazione degli stessi e le norme sulla libera circolazione degli stessi nell’Unione Europea di cui al Regolamento UE 2016/425.
È stato dimostrato nel giudizio cautelare che i certificati relativi alla conformità ai requisiti imposti dal regolamento Europeo 2016/425 prodotti al momento della importazione e sdoganamento, non solo erano autentici ma, soprattutto, si riferivano proprio alla merce in sequestro, così come confermato dalla stessa società produttrice del prodotto.
Non vi era dubbio, inoltre, sulla provenienza della merce, acquistata da un’azienda rinomata del settore, ed in relazione alla quale sussisteva la continuità documentale delle ricevute fiscali.
La documentazione versata era, dunque, idonea a stabilire una sicura corrispondenza tra la merce in sequestro ed i prodotti cui si riferivano gli atti contenuti nel fascicolo tecnico fornito alla PG nonché a dimostrare che i guanti oggetto dell’importazione presentavano tutti i requisiti essenziali di salute e sicurezza applicabili ai DPI ed imposti dal Regolamento UE 2016/425, così dovendosi escludere l’ipotizzata difformità con le norme comunitarie vigenti.
La marcatura CE presente sulle confezioni di guanti non poteva dirsi, dunque, né indebita né mendace, non potendo configurarsi i reati di cui agli artt. 515 e 517 c.p., e, su tale base, alcuna falsa dichiarazione è stata redatta, con conseguente esclusione anche del reato di falso per induzione.
Nondimeno, alla luce della medesima documentazione, erano da ritenersi sussistenti tutti i presupposti indicati dall’art. 124 DL n. 34/2020 e, pertanto, l’omesso versamento da parte della importatrice dei diritti di confine non poteva essere inquadrato quale ipotesi di “contrabbando” di cui agli artt. 292 e 295 T.U.L.D., potendo l’azienda importatrice beneficiare della esenzione ivi prevista.
Alla luce delle suddette argomentazioni ed in accoglimento della impugnazione promossa dalla difesa della società importatrice, il Tribunale del Riesame ha annullato il decreto di perquisizione e sequestro con conseguente dissequestro e restituzione all’avente diritto della merce.