La questione è stata diversamente esaminata e risolta nel corso degli anni da parte dei Giudici non solo dei Tribunali di merito ma anche (e soprattutto) di legittimità, arrivando oggi all’approdo delle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 2018 n. 18287 che ancora oggi costituisce il punto di riferimento per i Giudici e gli operatori che si trovano ad esaminare le richieste di quei coniugi che al momento della separazione o divorzio domandano l’assegno di mantenimento assumendo di essere la “parte economicamente debole” della (ex) coppia.
La questione, pervenuta allo studio, di una cliente con un contratto di lavoro a termine, peraltro di imminente scadenza rispetto all’avvio delle trattative intraprese con il marito per addivenire ad una possibile separazione consensuale, ha posto la necessità di esaminare questa questione alla luce del più recente approdo giurisprudenziale sul tema.
Da un lato, il marito ha posto l’accento sulla sussistenza di un reddito della signora e, quindi, l’autosufficienza della moglie, comunque in grado di lavorare; dall’altro, la necessità della moglie di ottenere dal marito un contributo al proprio mantenimento alla vigilia del termine di un rapporto lavorativo che non ha alcuna garanzia di essere rinnovato, privando così la signora di qualsiasi certezza circa la propria autosufficienza.
In estrema sintesi, nella sentenza del 1990 i Giudici della Cassazione hanno affermato che l'assegno di mantenimento ha carattere esclusivamente assistenziale, dal momento che il presupposto per la sua concessione deve essere rinvenuto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante – da intendersi come insufficienza degli stessi – a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Già all’epoca veniva, peraltro, chiarito che non è necessaria l’esistenza di uno stato di bisogno, assumendo rilievo, invece, l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio.
Tale orientamento, è stato in tempi più recenti criticato per il rischio che lo stesso crea nel determinare rendite di posizione dell’ex coniuge che non tengano conto della personale situazione (ad esempio di personale agiatezza economica indipendente dal matrimonio) o comunque nel creare una utilità disancorata dal concreto ed effettivo contributo causale alla posizione economica o patrimoniale dell’altro coniuge.
Si è, quindi, più di recente contrapposto quanto affermato dalla sentenza n. 11504 del 2017.
All'assegno è stata, di conseguenza, riconosciuta una natura giuridica strettamente ed esclusivamente assistenziale, rigidamente ancorata ad una condizione di mancanza di autonomia economica, che il Giudice deve valutare in considerazione della condizione soggettiva del richiedente, del tutto svincolata dalla relazione matrimoniale ed unicamente orientata, per il presente e per il futuro, dalle scelte e responsabilità individuali.
L’ultimo e, per il momento, definitivo approdo giurisprudenziale sul tema e relativo all’interpretazione dell'art. 5, comma 6, L. 898/1970 è quello dettato dalla sentenza a SS.UU. del 2018, sulla cui base è stata orientato il parere reso alla cliente di studio con lavoro precario.
In modo che vuole essere maggiormente coerente con il quadro costituzionale di riferimento e gli artt. 2, 3 e 29 Costituzione, le SS.UU. nel 2018 hanno inteso attribuire alla libertà di autodeterminazione dei coniugi un valore non solo nel momento successivo alla crisi del rapporto, bensì valorizzarne la portata – al punto da rivestirla di carattere decisivo – proprio dentro e durante lo svolgersi del rapporto coniugale; in tale modo la Corte ritiene di poter meglio comprendere e dare il corretto valore alle scelte consapevolmente adottate durante la vita coniugale – di recedere da obbiettivi di carriera per favorire gli impegni della famiglia e/o dell’altro coniuge – oltre che meglio valutare la situazione attuale in funzione dei vincoli solidaristici, ad esempio valutando l’età ed il conseguente possibile ricollocamento sul mercato del lavoro del coniuge richiedente.
Nel caso, dunque, all’esame dello studio, abbiamo verificato non solo i dati reddituali dei coniugi e neppure unicamente le aspettative della cliente di mantenimento dello stile di vita avuto in costanza di matrimonio; bensì si è valutata la sussistenza di una scelta consapevolmente recessiva delle proprie aspettative di carriera, adottata per favorire il coniuge e le necessità della famiglia, e la possibilità concreta della cliente, determinata dall’età e formazione professionale, di ricollocarsi sul mercato del lavoro una volta terminato il contratto in scadenza.